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Tappa

Ci son montagne  alle mie spalle e passi e passi che fatico a ricordare.  

Un vento furioso si placa fra ricami di silenzio mentre, lontane, sfumano pareti precipiti e cime che perdono significato.

C’è pace qui dove una via si chiude senza ancora lasciar spazio a un nuovo cammino.  

Nessuna ansia di arrivare, nessuna urgenza di ripartire.  

Non una rotta obbligata, ma molteplici le possibilità.

Posso fermarmi a rifiatare.

Qui a valle da sempre tutto ricomincia e ogni impronta fugace sulla via, lentamente, restituisce un senso, risolve un nodo.

E’ terra di preghiera, per il pericolo scampato e per l’auspicio di un buon cammino.

E’ terra di gratitudine, per il passo capace di attraversare.

E’ terra promessa perché preserva il desiderio di scoprire guardando un po’ più in profondità.

E’ risveglio.

Laggiù, in lontananza e tutt’intorno, profili sfumati, chiamano ancora.

Montagne.

Per andar loro incontro farò spazio nel mio zaino, perché saranno tutto ciò che dovrò raccogliere e portare.

Ma non è tempo di partire.

Rimarrò ancora un poco: non di rado anche sostare è viaggio.

Casa

“O Hayyām, se sei ebbro di vino, sta’ lieto

se te la spassi con belle dal volto di luna, sta’ lieto.

Poi ch’ogni cosa del mondo nel nulla finisce,

pensa che tu sei nulla, e già che sei, sta’ lieto.

Omar Hayyām”

Quanti passi.

Supramontes, Pirenei, Slovenia, Alpi, Islanda.

Quante storie. Quanta bellezza.

Eppure troppo poco rimane di quel che è stato. A parte i luoghi, testimoni silenziosi del nostro passaggio, capaci di fissare in attimi d’inconsueta serenità  quel che in un dato qui e ora abbiamo saputo essere davvero.

Le nostre impronte segnano il terreno come il nostro stagliarci fiero contro il paesaggio. Eppure un momento dopo, queste labili tracce sono già confuse e non ci siamo più.

I sentieri che tanto amiamo e ai quali ritorniamo nel ricordo o nel passo, sono lì a spiegarcelo: non ci sono segni indelebili da lasciare lungo la strada, niente di noi rimane sul cammino, e comunque mai troppo a lungo.

Siamo qui per essere marchiati. E’ l’impronta del mondo su di noi a dare un senso al nostro tempo.

In fondo siamo niente. Siamo sempre stati niente non fosse per questo nostro estemporaneo esserci da tradurre in presenza, da portare in dono, prima ancora di arrivare ad interrogarci sulla sua sacralità.

E allora che ogni nuovo giorno possa portare a far nostro l’abbraccio del mondo quale esso sia. Lasciamo che la vita ci travolga, che ci sollevi e ci trasformi, sradicando le nostre certezze e, con esse, ogni nostra presunzione e ogni nostra paura. Doniamoci il coraggio di affidarci a essa senza riserve, spegnendo il rumore ogni qual volta ci è possibile,  perché la nostra casa è il nulla, solo che non sappiamo cos’è.

L’Ultimo Sentiero

Da qualche parte nel mio passato sono morto e non me ne sono accorto.

Non mi ricordo dove né quando.

Siamo case di carta come i nostri ricordi e le nostre relazioni, come i luoghi dove siamo stati o il sogno di attraversarli e di custodirli intatti dentro di noi.

Solitudini in cammino, sempre meno capaci di condividere davvero un’alba come un tramonto, raccontare e ascoltare, supportare senza pretese o aspettative con la leggerezza di chi ha imparato a esserci, di chi non sa mancare.

Padroni di niente abbiamo paura di perderlo, marcando il confine che da sempre segniamo tra noi e ciò che è altro da noi, perché la dicotomia, abbiamo scoperto, nutre a dovere il tumore della nostra supponenza, occultando la precarietà che ci spaventa, che poi l’una e l’altra sono gli “occhi” della stessa maschera.

Siamo fieri ma inappagati dai nostri traguardi come se non fossimo mai arrivati, come se non dovessimo arrivare mai.

Eppure è il paesaggio a muoversi mentre stiamo fermi. Quasi sempre in superficie. In balia di elementi che fatichiamo a comprendere e di cui abbiamo un timore folle: il tempo, il dubbio, il silenzio, la solitudine, ogni nostra fragilità, …quello che siamo davvero.

Avvitati su ciò che siamo diventati e crediamo di essere o dover essere, sopravviviamo.

Che nascosto da qualche parte, possa esserci,

oltre l’arroganza, la presunzione, la discriminazione e il giudizio di cui è intrisa la nostra cultura, oltre l’illusione di certezze straripanti dallo scrigno delle nostre miserie,

oltre il rumore di un fare distratto, senza posa, e delle mete da raggiungere,

dietro il trucco e gli occhi spauriti,

un sentiero capace di allontanarci davvero da noi stessi?

Non smettere di cercarlo è probabilmente il più sacro fra i doveri.

Nessuna resa perché risorgere non sia solo promessa ma profezia.