Prologo
La sterrata si piega, poi si distende, curva ancora, strettissima, attorno a dossi di sabbia scura, circondati da balaustre di pietra, lavorate dagli agenti atmosferici, dopo ogni abbraccio fugace del cielo con il ventre rovente della terra.
Il pesante mezzo della Reykjavic Excursions sobbalza, rallenta, riprende velocità, per un pianoro sconfinato dominato dal profilo innevato di un imponente vulcano spento.
Abbiamo appena guadato una serie di torrenti e ora ne seguiamo il corso, lasciandoci abbracciare da una natura selvaggia dalle tonalità nuove, che sa di austero ma anche di scrigno di una saggezza profonda.
E’ bello posare gli scarponi sul terreno brullo, a motori finalmente spenti, una volta raggiunto l’avamposto di Landmannalaugar, in mezzo ad un “niente” apparente, che so già capace di spiegarmi le regole del “tutto”.
Non chiedo altro.
In fondo camminare è sempre stata la mia scusa per continuare ad apprendere.
Primo giorno: Landmannalaugar (590 m.) – Hrafntinnusker/Höskuldsskóli Hut (1.027 m.) – Álftavatn (pressi)
Il sentiero si arrampica attorno ad un crinale panoramico.
Alle nostre spalle, la piana di Landmannalaugar, solcata dalla rete argentea dei torrenti, è un gioco di riflessi che si lascia assorbire da orizzonti nuovi ad ogni passo.
Oltre quell’oasi conquistata dall’uomo e punteggiata di tende c’è un paesaggio che pare dipinto. Ci muoviamo come colori su una tavolozza, per esserne rapiti in arzigogoli di inestricabili entusiasmo e sorpresa.
Uno sconfinato altopiano il Laugahraun, segnato dagli affioramenti di ossidiana e adornato dai profili gibbosi di rilievi multicolore, spinge lo sguardo a scrutare, in lontananza. Qui la cerchia dei rilievi più alti, si esalta di un rigoglio dal verde intenso, in un giardino di pietra velata di muschi, che si insinua fra le striature dei nevai, marcando confini solo apparenti.
La scura distesa di lava pietrificata è spezzata da un intorno di delicate infiorescenze, e fragili steli d’erba che come velluto si arrotolano sulla roccia vulcanica, rivestendo fin negli anfratti più segreti, le pieghe di una terra tormentata.
E’ un mondo incantato quello scolpito sopra questa immensa colata. Dai colori inconsueti. Il suolo fragile, dalle tonalità brune, si lascia conquistare dai verdi che, in lontananza, sfumano in un caleidoscopio di drappeggi rosa e d’arancio, ammiccanti nel candore dei nevai. Ogni tanto uno specchio d’acqua, color smeraldo, fa si che il ventre della terra possa guardare al cielo, ma vien da chiedersi se non sia, quest’aria tersa, attraverso le trasparenze dei celesti e degli azzurri, a poter fissare il cuore della culla di pietra, proprio lì, in profondità, dove prende vita il gorgoglio di nuovi torrenti. Qui, dove meno te l’aspetti, è l’acqua a farla da padrone.
Prendiamo quota su crinali gibbosi tra le solfatare che riempiono l’intorno di un odore pungente. La terra sbuffa velando il paesaggio mentre sostiamo alle pendici della panoramica “montagna rossa”, il Brennisteinsalda (855 m.), la cui cresta è a portata di passo.
Un esteso altopiano ci fa immergere in un mondo nuovo, capace però di riportarci ad un passato remotissimo.
Il sentiero prosegue i suoi saliscendi appena percettibili fra i colli, passando sopra pozze d’acqua termale e sorgenti che si lasciano appena intuire fra le spire del vapore sulfureo. Il cuore pulsante della terra, mai così vicino, anima un deserto vivo, tenendoci quasi per mano fino all’oasi di verdi di Stórihver dove ci concediamo una sosta.
E’ un paradiso senza alberi quello che ci accoglie, capace di dar voce ad una vita che urla su frequenze inconsuete, scuotendoti con parole che non hai bisogno di comprendere perché portano un senso che da sempre ti appartiene.
L’acqua bollente borbotta da profonde fenditure nel terreno, mentre nugoli di vapore si levano fra i nevai, creando un paesaggio surreale. Colline dalle morbide pendenze, legate assieme da una spessa coltre di neve, fanno da cornice al mescersi di ruscelli che abbandonano una rete di buie e gelide gallerie per ritrovare la carezza calda della terra.
A malincuore rirendiamo lentamente quota per un crinale di roccia e polvere vulcanica. I nevai sono più vicini, diventano sempre più frequenti ed estesi fino a quando, quasi ci si sente prigionieri di un deserto di ghiaccio.
Il vento fortunatamente soffia alle nostre spalle, ma ci racconta di quanto possa essere pericoloso trovarsi quassù, in presenza di condizioni meteo avverse, senza la necessaria attrezzatura.
Robusti omini di pietra segnano la via, ricordandoci che in caso di nebbia o neve qui è facile perdersi.
E’ quasi un sollievo affacciarsi dall’ennesimo dosso sulla spianata ghiacciata del rifugio Höskuldsskóli (1.027 m.), nella panoramica località di Hrafntinnusker, dove l’ossidiana la fa da pardona, e la diffusa attività geotermica è resa evidente dalle numerose fumarole che, raccontano dell’abbraccio segreto tra il calore della terra e le gelide coltri innevate sovrastanti.
Qui, con alle spalle circa 470 m. di dislivello positivo, terminerebbe la prima tappa del trekking, ma considerato il gran freddo legato alla pioggia e al forte vento, decidiamo di proseguire: ai dodici km della tratta da Landmannalaugar a Hrafntinnusker , decidiamo di aggiungere ulteriori dodici km, quelli che dovrebbero condurci ad Álftavatn.
Il sentiero si confonde su un tappeto di terra bruna, aggredita dagli estesi nevai che come lenzuola candide si avvolgono tra i colli, per distendersi in ogni direzione. Ne seguiamo il saliscendi attraversando il greto di torrenti che repentinamente corrono a nascondersi nel ventre ghiacciato di misteriose gallerie, per poi tornare a scorrere a pelo libero e segnare il corso di un’ampia vallata.
Saltiamo da un nevaio all’altro, scavalcando profonde incisioni nella roccia, piccole valli che vanno gradatamente approfondendosi sotto lo sguardo di imponenti coltri di ghiaccio.
Una balza più ripida ci porta in corrispondenza di una bastionata battuta dal vento. E’ un altopiano da cui perdiamo quota molto lentamente a causa del continuo saliscendi, accanto a torrenti che nascono dove il calore della terra incontra la gelida carezza dei ghiacciai, formando piste di fango rossastro che cercano il fondovalle. Un poggio panoramico consente di apprezzare la straordinarietà del paesaggio e il lungo percorso che ancora ci separa dalla conclusione della tappa.
La vista del lago di Álftavatn in lontananza è esaltante. Ci offre la carica giusta per affrontare la successiva ascesa per crinali multicolore fino alla linea di cresta dello Jökultungur (896 m.).
Seguirà un’estenuate discesa, su una traccia di terra e ruvida pietra, accanto alla sottostante vallata incisa dal torrente Grashagakvísl e accesa dalle verdi tonalità dei prati che ne accompagnano il corso.
E’ il primo guado significativo del trekking. Non è semplice. A causa delle recenti precipitazioni il fiume si è ingrossato. Ci costringiamo perciò a risalirne il corso per poi affidarci a qualche passaggio “acrobatico” tra le sponde del greto roccioso, dove le acque correnti creano cascatelle e mulinelli.
Segue la conquista di un crinale dal verde intenso, poi, finalmente, solo prati ed un corso d’acqua cristallino nei pressi del quale installiamo il nostro campo.
Secondo giorno: Álftavatn (pressi) – Hvanngil – deserto Mælifellssandur (612 m.)- Botnar (Emstrur 601 m.)
Una rilassante passeggiata ci porterà sulle rive del grande lago (537 m.), circondato da isolati rilievi montuosi, quasi dei segnavia dal verde intenso nella rete degli immensi altopiani lavici delimitati dal corso di impetuosi torrenti, incassati tra le pareti di profonde forre. Da qui parte la terza tappa del trekking che quest’oggi seguiremo per altri 15 km da Álftavatn ad Emstrur .
Inizialmente si costeggia un crinale sul versante scosceso di una bella vallata (cresta di Brattháls) per poi guadare senza particolari difficoltà il torrente Bratthálskvísl e prendere quota sul versante opposto per estesi altopiani ricoperti d’erba e attraversati da corsi d’acqua dagli azzurri brillanti.
Improvvisamente i verdi lasciano spazio alle tonalità grigio scure di un deserto di sabbie vulcaniche che ci terrà compagnia per l’intera giornata. Siamo in corrispondenza del rifugio Hvanngil nei pressi di una spettacolare colata lavica. La roccia crea curiosi recinti naturali sul terreno scuro dal quale fuoriescono, come lame orizzontali, ondulate placche di pietra.
Un ponte ci permette di attraversare senza difficoltà il fiume Kaldaklofskvísl, ma a breve distanza, al successivo guado, quello sul torrente Bláfjallakvísl, siamo costretti a bagnarci.
Qui imparerò a mie spese che sarebbe bene guadare procedendo a favore di corrente, puntando con lo sguardo la riva opposta e non l’intorno disorientante di acque mosse.
Riprendiamo la marcia in silenzio per una culla di pietra e terra nera cinta da lontane montagne dal verde intenso e dal ghiacciaio Mýrdalsjökull .
E’ una solitudine che non offre alcuna via d’uscita se non seguire una appena accennata traccia di sentiero a margine di affioranti rocce vulcaniche ricamate da delicati ciuffi d’erba e piccoli fiori rosa.
Lunghe distese rocciose si alternano a sabbie e ceneri fino al ponte sul turbolento torrente Nyrðri Emstruá prima delle solitudini della regione di Mælifellssandur e del passo di Útigönguhöfðar dove lo sguardo può riposare sul verde vivo delle montagne solitarie ai margini del percorso.
E’ tarda sera ma ancora pieno giorno quando, lasciato alle nostre spalle l’ineguagliabile spettacolo del monte Hattafell (863 m.) sulla piana di cenere, arriviamo all’affollato rifugio di Botnar (601 m.) nei pressi del canyon Markarfljótsgljúfur, per accamparci accanto ad un ruscello nascosto dalla vegetazione.
Sono quasi 40 i km percorsi in due lunghe giornate di cammino. La stanchezza comincia a farsi sentire.
Terzo giorno: Botnar (Emstrur) – Porsmork (Thòrsmörk 403 m.)
Una balza erbosa porta nuovamente sulla spessa coltre magmatica attraversata da un bel sentiero che diviene ripida discesa di sabbie nere e poi dirupo. E’ il canyon di Syðri-Emstruágljúfur . Raccoglie le acque di scioglimento del Mýrdalsjökull, per poi aprirsi in un’ampia valle accesa dal corso di un torrente impetuoso.
Un ponte di legno ci consente di attraversarlo e di sondare i vuoti accesi dai giochi d’onda su una roccia perfettamente levigata. E’ quasi possibile sfidarli per comode ma aggettanti cenge, ormai quasi al cospetto del ghiacciaio.
Ci lasciamo alle spalle questo spettacolo della natura per affidarci all’abbraccio di un ampio anfiteatro roccioso. Raggiungiamo la testata della vallata, per seguire una gola dalle pareti via via più ripide. Il canyon di Syðri-Emstruágljúfur incontra il canyon di Markarfljótsgljúfur dando vita ad uno spettacolo d’acque che vanno a nascondersi nel profondo di pareti vertiginose, irraggiungibili dagli estesi tavolati tra i quali ci spostiamo, scavalcando una serie di ruscelli.
La traccia ci allontana sempre più dai baratri dei canaloni per nasconderci nel cuore di un circo di nuda pietra, dove i prati si alternano al deserto sabbioso e alle scure rocce affioranti nell’intersecarsi di gole fortemente incassate.
Il paesaggio muta di continuo. Tonalità rosse e verdi si contendono il sentiero. Minaccia di piovere ma non cade una goccia. Mi fermo a lungo a contemplare un intorno che mi strappa via dal mio presente tenendomi dentro un tempo che si ferma, per cristallizzarsi nel diamante di un ricordo immortale. Un nuovo impetuoso torrente, il Ljósá River, mi risveglia, riportandomi ben dentro il viaggio, fra qualche albero basso e rado nella regione di Úthólmar. Un promontorio ci offre una cresta di praterie dal verde acceso prima di farci perdere nuovamente quota verso le lande di Almenningar ormai a portata di passo.
Un torrente, il Þröngá, si sfrangia in tanti rivoli turbolenti che ci chiamano all’ennesimo guado che ci chiama a raccogliere tutta la nostra attenzione e determinazione.
Sull’altra sponda, un bosco, inatteso, in posizione sopraelevata, di fronte ad un ampio delta che, in lontananza, unisce all’oceano il cuore segreto di queste montagne.
Ci guiderà fino a Porsmork (Thòrsmörk) e all’accogliente rifugio Skagfjörðsskáli (Langidalur) stretto fra i prati, dove sembra di essere tornati nel mondo, usciti dalla fiaba ma ancora dentro il suo incantesimo.
Quarto giorno: Porsmork (Thòrsmörk) – Fimmvörðuháls – Skogar
Uno splendido torrente, il fiume Krossá, accende il cuore di una verdeggiante vallata. Dei ponti mobili e un guado ci portano sull’altro versante dove si affacciano montagne verdi.
Piacevolissimo il cammino alla base dei versanti fino alla località Básar. Poco oltre il sentiero piega verso l’alto con decisione, portandoci dentro la magica regione del Goðalönd. Gli zaini si fanno sentire ma il paesaggio è di conforto. Splendidi gli scorci sul fondovalle.
Il sentiero si allunga sempre in forte pendenza fino ad un aggettante linea di cresta fra due vallate, che riporta tra i prati di più alta quota (creste del Kattarhryggir). Attorno scavernamenti e archi di roccia assieme ai pinnacoli creano un paesaggio per noi consueto ma qui inaspettato.
L’orizzonte si allarga nuovamente in un ampio e caratteristico tavolato (Morinsheiði plateu). Conduce al cospetto di uno scenario mozzafiato: il grande ghiacciaio incontra la valle creando splendidi giochi di colore.
Ancora uno strappo, verso l’alto, impegnativo, poi un altopiano desertico, perfettamente pianeggiante.
Ci porta su una sella caratteristica da percorrere attraverso una cengia angusta (creste dell’Heljarkambur). Si scende per un ripido crinale per poiaffrontare la salita. Estenuante fino al regno dei ghiacci dove il bianco ci inghiotte. Ci muoviamo a lungo stretti tra due ghiacciai Eyjafjallajökull e Mýrdalsjökull. Passiamo accanto ai crateri Magni and Móði del vulcano Fimmvörðuháls ai margini del ghiacciaio Eyjafjallajökull. Qui il bianco dei nevai è solcato dal bruno dei nuovi campi di lava generati dall’eruzione del 2010 che ha cambiato l’aspetto di quest’area del ghiacciaio.
Segue qualche passaggio su ghiaccio fino al rifugio avvolto fra le nubi nell’area dell’alto passo di Fimmvörðuháls (1.043 m.).
Piove e la temperatura è decisamente bassa ma ci concediamo una sosta per il pranzo nell’area antistante la struttura. Ripartiamo per una carrareccia avvolta nell’abbraccio umido delle nubi basse che celano alla vista una landa desolata di roccia. Il grigio orizzonte ci accompagna fino al Baldursskali Hut, un locale non servito che offre tuttavia la possibilità di una sosta al coperto. Nasconde un paesaggio di prati radi e roccia improvvisamente animato da un rumoreggiante torrente.
E’ il fiume Skógaá. Spettacolo puro. Un ponte sospeso e la carrareccia diventa sentiero selvaggio dentro un paesaggio che sa di primordiale. Innumerevoli e maestosi i salti d’acqua e i giochi del torrente e dei suoi affluenti.
Ci accompagneranno fino a Skogar e alla cascata di Skógafoss, al termine di una passeggiata che pare non voler finire mai ma non importa perché nonostante la stanchezza è fantastico stare qui come è stato straordinario arrivarci.
Cartografia: IDNU PUBLISHING – Sérkort 1:100.000 , Porsmork – Landmannalaugar , www.idnu.is